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Dal dolore della perdita al valore della memoria storica. Mosaici di una vita straordinaria all'insegna dell'arte e della bellezzaIntervista al Prof. Ermanno di Sandro(31/01/2025) di Teresa Lanna “Osare, sempre, con spirito positivo e mente aperta…” è uno degli ultimi aforismi del Prof. Ermanno Di Sandro; architetto, scrittore, critico d’arte e d’architettura, oltre che artista e, da ben trent’anni, docente di Arte e Immagine. Nella sua carriera ha attraversato diverse fasi: influenzato dal Brutalismo e dall’architettura organica di Aldo Loris Rossi, ha poi abbracciato il Decostruttivismo. Il suo innovativo progetto per le cavità sotterranee di Napoli coniuga architettura ed archeologia, sottolineando l’importanza della conservazione storica. Fondatore di movimenti culturali come “Muro Bianco” e “Mefitismo”, ha promosso l’arte come strumento di rinascita sociale. Con quarantacinque pubblicazioni all’attivo, spazia tra romanzi, critica d’arte e letteratura per ragazzi. Per Di Sandro, arte ed architettura sono strumenti essenziali per preservare la memoria storica e dare voce alle vittime dimenticate. Egli, tra le altre cose, racconta come il naufragio dell’Andrea Doria, pur non vissuto direttamente, abbia influenzato profondamente la sua vita, portandolo a scrivere con il nobile intento di onorare la memoria della sorellina Norma. Dal 2006 ha intrapreso una missione commemorativa con libri, monumenti e spazi pubblici a lei dedicati. Questo, e tanto altro, rappresenta il percorso umano e professionale di Ermanno Di Sandro, la cui vita è come un mosaico composto da tante tessere variegate che, pur contenendo, inevitabilmente, tinte a tratti grigie, riflette sempre la luce della forza e della speranza.
L’intervista T.L.: La sua vita sembra essere stata segnata da eventi straordinari, a partire dalla tragedia del naufragio dell’Andrea Doria che ha colpito la sua famiglia. Come ha influenzato, questo evento, il suo percorso professionale e personale? E.D.S.: La ringrazio anzitutto per la sua meravigliosa domanda, perché lei mi dà l’opportunità di spiegare quanto quella vicenda, da me mai vissuta in prima persona perché non ero ancora nato, abbia indubbiamente influenzato la mia vita, i miei sentimenti, la mia sensibilità… Inoltre, come abbia scandito le mie giornate; ma solo a partire dal 2006, anno in cui scattò qualcosa in me e nella mia psiche, quasi si trattasse dei miei ricordi, esattamente cinquant’anni dopo quel naufragio. Per raccontare l’intera vicenda che sta alla base delle mie ulteriori iniziative che culminarono nell’idea (era il 2018) di un monumento celebrativo dedicato alla memoria di Norma Di Sandro, faccio generalmente riferimento ad alcuni brani e frammenti letterari estratti dai miei appunti e scritti personali; successivamente, anche dai miei libri scritti - non senza sofferenza - per raccontare cosa accadde ai miei genitori ed a mia sorella nel 1956. A distanza di cinquant’anni da quel tragico evento, universalmente noto come “Il naufragio dell’Andrea Doria”, avvenuto nella notte tra il 25 e 26 luglio 1956 nelle fredde acque di fronte all’isola di Nantucket, a poco più di un centinaio di chilometri dalla costa meridionale del Massachusetts e del Rhode Island ed a duecento chilometri da quella del Connecticut, in direzione ovest verso Long Island ovvero New York, mia madre volle consegnarmi, su mia esplicita richiesta, la sua verità, quella mai raccontata né a me, né alle mie due sorelle, per non turbarmi e per non auto-relegarsi a quel ricordo tanto tragico da dover essere dimenticato, ovviamente nei limiti del possibile. L’intera vicenda, ed il suo racconto, in definitiva, mi turbarono a tal punto da cambiare il ritmo dei miei giorni sereni e la mia stessa vita, rendendomi più aperto alle sofferenze degli altri ed ai loro problemi personali, lavorativi, familiari. La mia vita professionale divenne meno oppressiva e forse persino meno importante, nonostante amassi i miei tre lavori, che esercitavo in contemporanea; quello di docente, architetto e promotore di servizi finanziari. T.L.: Lei ha scritto molto sulla sua sorellina Norma e sull’impatto che la sua morte ha avuto su di lei. Quali sono gli aspetti più significativi di questa esperienza che l’hanno spinta a dedicarsi alla scrittura e a rendere omaggio alla sua memoria? E.D.S.: Quando, il 21 agosto del 2006, ricevetti una preziosa scatola contenente i suoi ricordi, sentivo che la mia adorata madre stava compiendo forse l’ultimo atto dell’amore che nutriva per me, oltre che per la scomparsa figlia. Forse aveva pensato che raccontare la storia di Norma e la loro, mi avrebbe aiutato nella mia ostacolata professione di scrittore prima ancora che di architetto, e che ricordare a tutto il mondo i loro sacrifici, quelli di una vita, così come la vita di mia sorella, avrebbe onorato anche le vite spezzate degli altri. Mia sorella - le avevo spiegato qualche settimana prima - era costantemente presente nella mia vita, era il nostro caro Angelo custode, e certamente meritava, oltre al suo venerato sepolcro, la sua tomba, “memoria eterna”. Cosa c’era di più eterno di un libro? - pensai. Poi, ancor più stranamente, di libri ne scrissi ben quattro, ciascuno con una diversa casa editrice. In ultima analisi, la mia vita è totalmente cambiata a quarantasette anni di età, nel 2006, cinquant’anni dopo quell’evento tanto tragico, quasi fosse la mia personale eredità storica. Sono riuscito, poi, nella doppia impresa di far dedicare ufficialmente a mia sorella Norma una piazza a Marzano Appio (CE), il paese di mia madre, ed i nuovi giardini pubblici con il monumento a lei dedicato. Inoltre, un’altra scultura dell’artista Raffaele Bertolini a Colli a Volturno, nel Molise, il paese natio di mio padre. Quest’ultima area verde diventerà, nel tempo, su desiderio del sindaco Emilio Incollingo, una raccolta all’aperto di opere d’arte scultoree dedicate a Norma Di Sandro ed a tutti i bambini deceduti all’estero durante le convulse fasi emigratorie a partire dalla fine dell’Ottocento, soprattutto verso le due Americhe. Oggi posso contare su ben quarantacinque pubblicazioni in vari campi e settori, dai romanzi alle raccolte di racconti, dalla critica artistica ai romanzi storici, dai libri e cataloghi d’arte persino ai romanzi erotici, essendo il sano erotismo alla base della vita di ogni essere umano, o per lo meno così dovrebbe essere. Ho pubblicato, inoltre, un bellissimo libro illustrato di letteratura per ragazzi; un altro, contenente centinaia di aforismi da me raccolti e rielaborati in un lunghissimo arco di tempo, uno di tipo economico e molti in collaborazione con altri autori anche nel campo archeologico ed artistico. Ho pubblicato libri cartacei e digitali, tutti con Codice ISBN, molti dei quali inseriti nel Sistema Bibliotecario Nazionale; poi, diversi altri presenti in biblioteche ed istituzioni italiane ed europee o in quelle facenti capo ad atenei, anche all’estero. T.L.: Nel corso della sua carriera, è evoluto il suo approccio nei confronti dell’architettura, passando dallo stile organico alle forme più libere del Decostruttivismo. Quali sono state le principali influenze che l’hanno guidata in questo cambiamento? E.D.S.: Durante i miei studi in Architettura all’Università degli Studi Napoli ho avuto il piacere ed il privilegio di essere allievo di Donatella Mazzoleni e di Aldo Loris Rossi, la cui arditissima architettura organica in calcestruzzo cementizio armato, oggi definita “Brutalistmo Architettonico” degli Anni ‘70 – ‘80, mi ha molto influenzato, e che tutt’ora è presente nelle mie creazioni e progetti, anche di arredi, mobili e oggettistica. Tale linguaggio utilizzava linee concavo-convesse, linee spezzate e miste, curve, volumi che si intersecavano originando forme audaci e prodigiose. Sono passato lentamente al “Decostruttivismo”, ma solo a partire dal 2017, ovvero quando smisi di lavorare nel settore finanziario, dapprima per una Società di Intermediazione Mobiliare (S.I.M), successivamente per una Banca. Mi liberai così del mio passato e di mille lacci e lacciuoli, migliaia di norme e regole, per esplodere ed esplorare indirettamente le ultime tendenze architettoniche con una mia personalissima nuova arte e nuova architettura, con studi decostruttivisti, audaci, moderni, innovativi, spirito dei nuovi tempi. Ho progettato e realizzato manufatti architettonici, di arredo, decorativi, in ferro, d’interni, ma molti altri sono rimasti sulla carta come semplici studi progettuali. La mia architettura si è dunque molto evoluta in un arco di ben quarantacinque anni; diciamo dal 1980: originariamente di stampo organico (Frank Lloyd Wright), nella piena maturità si è avvicinata sempre più alle libere forme del Decostruttivismo di Zaha Hadid e Frank Gehry. Tra le arti visive, inoltre, prediligo senz’altro il collage e le tecniche a china o miste. Ciò non mi ha vietato di pubblicare comunque, tra gli altri, alcuni interessanti studi e ricerche in materia urbanistica sul mensile Archeologia (1986-1987), e strutturale, come quello su un innovativo tipo di nodo illustrato sulla rivista Acciaio (aprile 1988). T.L.: Il suo progetto per il recupero delle cavità sotterranee di Napoli è stato particolarmente innovativo. Qual è il suo punto di vista sul legame tra architettura, archeologia e la conservazione del patrimonio storico? E.D.S.: In realtà quel progetto si basò sui contenuti della mia complessa tesi di laurea in Architettura che fu premiata con 110/110 e lode, trattandosi di una tesi sperimentale sul recupero e sulla rivitalizzazione delle cavità sotterranee dell’Acquedotto della Bolla, dello strato archeologico greco-romano e della mobilità del Centro Antico di Napoli con un sistema integrato costituito da un mini metro Otis e tappeti e scale mobili. Lo studio prevedeva un centro storico, quello di Napoli, completamente pedonalizzato – parliamo di tempi non sospetti, era il 1987 – per cui gli spostamenti dei “viaggiatori” (studenti, lavoratori, commercianti, artigiani, popolazione, turisti, ecc.) erano assicurati da una fittissima rete di corridoi sotterranei, scale mobili, tapis roulant, da un innovativo (per l’epoca) mini metro Otis a cuscini d’aria, con oltre cinquanta passaggi “verticali” tra “soprassuolo” e sottosuolo, che collegavano direttamente i chiostri, cortili e invasi verdi del centro antico con le cavità antiche e con quelle nuove poste a circa quaranta metri di profondità, il che permetteva spostamenti rapidi, comodi, efficienti, tra le bellezze stratigrafiche della Napoli barocca e rococò, gli strati archeologici e l’ex acquedotto cumano nato unendo con canali sotterranei le tantissime cavità sorte come cave di tufo giallo napoletano, scavate per costruire la città greco-cumana, fondata nel lontanissimo 470 a.C.. Quello studio rappresenta tuttora quello che io intendo come un legame funzionale, storico, affettivo, archeologico tra ciò che è stato, da rivalutare e rivitalizzare, e la città moderna, pulsante e prestigiosa, anche perché consapevole della sua memoria storica. L’architettura dev’essere sempre strettamente connessa e funzionale alla valorizzazione archeologica dei siti antichi e del patrimonio storico-artistico più in generale. T.L.: Nel 2006 ha iniziato a dedicarsi alla memoria storica e alle vittime dell’Andrea Doria. Oltre alla scrittura, ha anche realizzato un monumento e una piazza in onore di sua sorella. Cosa pensa del ruolo che l’arte e l’architettura possono giocare nella preservazione della memoria storica? E.D.S.: Sono ruoli essenziali, di importanza straordinaria, perché ricordano il passato ed in particolare gli eventi storici, chi non c’è più, preservandone il ricordo. Monumento deriva da monumentum, ricordo, che a sua volta deriva da monere, ricordare. L’arte e l’architettura, quest’ultima una forma artistica che a differenza della pittura, del disegno e della scultura contiene uno spazio interno, un invaso fruibile, rivestono tale compito, affinché sia sempre attuale una vicenda, soprattutto se luttuosa, tragica, perché non è giusto dimenticare. Il Monumento a Norma Di Sandro, la mia sorellina mai conosciuta, perita a neppure quattro anni di età, e la omonima piazza, rispettivamente a Colli a Volturno e a Marzano Appio, in Molise ed in Campania, sono stati da me proposti alle rispettive amministrazioni comunali, che si sono mostrate aperte e sensibili al riconoscimento del ruolo che mia sorella avrebbe potuto rivestire chissà dove nel mondo, ed io gliene sarò grato a vita. T.L.: La sua esperienza nel campo della critica d’arte e della scrittura si è estesa anche a numerose recensioni e mostre. In che modo il suo background di architetto ha influito sul suo approccio alla critica artistica? E.D.S.: In realtà, avevo una spiccata sensibilità artistica verso il bello, a prescindere dalla mia laurea. L’architettura è funzione, forma, bellezza, tecnica, studio dei materiali e della scienza delle costruzioni, mentre l’arte è ben altra cosa. Ho incominciato a studiare arte intorno al 1990, svincolandomi dalle tre dimensioni e dagli spazi architettonici per parlare di composizione artistica, di tecniche artistiche, al posto della composizione architettonica e della tecnologia delle costruzioni. Ammetto che il linguaggio artistico è tutt’altra cosa, anche se la lettura di un’opera d’arte e quella di un’opera di architettura seguono lo stesso schema; ovvero: dati essenziali, dati complementari, descrizione dell’opera, studio dei significati e del linguaggio e, infine, individuazione di cosa voglia dire e trasmettere ai posteri. L’architettura, in più, racchiude lo spazio, che è luogo vivibile per noi esseri umani. T.L.: Il movimento “Muro Bianco” che ha fondato nel 2013 ha avuto un grande impatto, nonostante la sua breve durata. Quali erano gli obiettivi principali del movimento e cosa pensa che abbia lasciato come eredità? E.D.S.: Il movimento artistico-letterario in questione denominato “Muro Bianco” (White Wall) – Gruppo d’Azione Culturale, raccoglieva, tra i propri aderenti, anche giovani talenti, in parte ancora al di fuori del sistema dell’arte e provenienti dalla Terra dei Fuochi e dalla provincia casertana, nei campi della pittura, scultura, letteratura, poesia, critica letteraria ed artistica, storia dell’arte, teatro, fotografia, cinema, architettura ed arti visive. Io ne ero il teorico ed elaborai un Manifesto che consistette in ventidue punti e che si contrapponeva, in parte, al Manifesto del Futurismo, di Filippo Tommaso Marinetti elaborato in undici punti. L’idea raccolse subito consensi unanimi suscitando scalpore, prefiggendosi in maniera ambiziosa ed utopistica la rinascita italiana, partendo proprio dalla cultura e dall’arte di quelle zone martoriate e degradate nel periodo di massima crisi economica dovuta alla crisi del cosiddetto debito sovrano e dei titoli di stato. Ben presto il movimento divenne G-Local, globale e locale, con adesioni dall’America Latina e dalla Spagna. Purtroppo temo che il movimento sia rimasto solo nei ricordi degli aderenti, così come il nome, e le mie e nostre comuni intenzioni di ridare linfa all’arte, al bello, alla cultura, alla poesia, alla letteratura. T.L.: Il movimento del “Mefitismo” è stato una proposta originale e affascinante. Come è nata l’idea di fondare questo movimento, e quali sono i valori che caratterizzano il Manifesto del Mefitismo? E.D.S.: Fondai il fenomeno artistico, poi Movimento, denominato Mefitismo, ufficialmente nel 2017, insieme al fotografo d’arte e videomaker, nonché editore Benito Vertullo, raccogliendo un gruppo di artisti emergenti - figurativi e concettuali - intorno all’idea di creare opere d’arte ispirate al Santuario, ovvero all’area sacra relativa alla Dea Mefite, nella Valle dell’Ansanto (Comune di Rocca San Felice), nonché ai ritrovamenti e reperti provenienti dalla stipe votiva, oggi conservati al Museo Provinciale Irpino di Avellino. L’idea raccolse subito un grande, unanime consenso al punto tale che si rese necessario elencare, attraverso il relativo Manifesto, le sue stesse caratteristiche e linee guida, che risultavano, così, imprescindibili per ogni artista che desiderasse aderire al Movimento medesimo. Si propiziò, in tal modo ed in poco tempo, la nascita di una corrente di artisti giovani e meno giovani, i quali si ispiravano in totale libertà espressiva alla Valle d’Ansanto ed ai ventiquattro punti del Manifesto. Le forme artistiche ammesse furono quelle su tela, sculture, di land art, arte figurativa, astratta e concettuale, fotografie digitali, collage, ecc., con le più svariate tecniche – alcune delle quali innovative - secondo un nuovo modo di concepire l’arte, il tutto ispirato inizialmente alla Dea Mephite, questa dea minore e depotenziata, poi dimenticata e relegata a figura mitologica assai poco importante dai Romani conquistatori di quelle lontane ed emarginate aree interne sannitiche della nostra penisola. T.L.: Un punto di svolta nel suo percorso è stato l’incontro, nel 2022, con l’artista Zoja Sperstad, della quale diventerà critico d’arte, presentando, tra gli altri, il suo vernissage a Sanremo, nel febbraio 2023, presso il locale “Strambò”. Ci parla del rapporto umano e professionale con l’artista e dell’impatto che i suoi consigli hanno avuto sulla sua arte? E.D.S.: L’incontro casuale con l’artista in questione ha certamente cambiato la mia visione dell’arte e persino la mia vita. Zoja Sperstad ha una grande personalità e capacità di ascolto, ma è anche donna di una cultura vastissima in tanti campi, dal teatro alle arti figurative, dalla filosofia all’etica, dalla scultura alla pittura e persino all’architettura, oltre che dal giornalismo all’insegnamento. Io e lei parliamo lo stesso linguaggio artistico ed abbiamo gli stessi obiettivi nel campo dell’arte, dal rilancio del bello e dell’armonia a quello di un’arte colta e bellissima. L’aspetto più sorprendente è il nostro continuo confronto online, gli stessi intenti futuri, la rinascita culturale dell’Occidente oggi estremamente volgare e rozzo sotto moltissimi aspetti. Contiamo di scrivere con non celata ambizione un capitolo importante nell’arte figurativa, mentre lo stile di Zoja si evolve e si arricchisce semanticamente in ogni nuova tela. È disciplinata e sicura di sé, ma segue anche quasi sempre i miei consigli e spunti di lavoro e intuizioni, stendendoli sulla tela con le sue meravigliose policromie. Siamo stati entrambi molto fortunati in questo nostro incontro e sodalizio artistico esistente inizialmente solo su Facebook, quasi fosse destino, quasi fosse voluto dai nostri cari in Cielo. Ella è cristiano-ortodossa, io cristiano-cattolico; Zoja è nata in Unione Sovietica ben oltre il Circolo Polare Artico, quasi verso la Nuova Zemlja, mentre io negli USA, ma da genitori emigrati dall’Italia: entrambi in piena Guerra Fredda! Sono certo che, salute permettendo, scriveremo un importante capitolo nella storia contemporanea dell’arte, e ad oggi ho dedicato alla sua grandiosa arte ben sei volumi. Un altro lo stiamo scrivendo a più mani con altri autori, perché l’arte si evolve continuamente; la sua e, adesso, anche la mia. Zoja sarà a sua volta la mia nuova critica d’arte, per cui ci scambieremo i ruoli! T.L.: Lei, dal mese di ottobre 2024, sta producendo una serie di ben sette collage molto complessi nell’esecuzione e nel linguaggio semantico. Qual è il fil rouge che li accomuna e quale sarà la loro collocazione? E.D.S.: Ho sempre amato questa forma d’arte relativamente giovane, forse ancora in gran parte inesplorata. Mi sento a mio completo agio pur nella complessità di ciò che sto realizzando. I collage sono dedicati ad alcuni aspetti caotici della nostra società, ma il linguaggio è fortemente caratterizzato da forme di rottura con tutti i collage realizzati da grandissimi artisti europei ed americani, ma anche russi e di altre parti del mondo. Li sto realizzando introducendo anche le tecniche miste, ed i collage papier. Sono destinati alle case d’asta e ad un pubblico estremamente colto, esigente, di veri intenditori, e che voglia contemplare le mie opere sapendo di aver fatto un ottimo investimento del medio-lungo periodo, diciamo 5-10 anni, a proposito di valutazioni in aumento - benché oscillanti - più o meno costante. La mia sfida ulteriore è dare valore crescente alle mie forme artistiche, quindi premiare nel tempo chi crede in me e nella mia espressività artistica. I miei collage rimandano però anche ai movimenti del passato. “Osare, sempre, con spirito positivo e mente aperta…” è uno dei miei ultimi aforismi che evidenzia il fatto ch’io abbia scoperto, che amo cimentarmi nelle cosiddette “arti applicate e materiche”, in particolare in quella tecnica affascinante quanto esplosiva che rappresentò una vera e propria rivoluzione, prima ancora che innovazione artistica e semantica, all’inizio del XX secolo; il collage, per l’appunto, rivolgendosi ed associandosi dapprima al Cubismo analitico, poi a quello sintetico, al Futurismo ed infine al linguaggio di rottura del Movimento Dada. Quella del collage è una tecnica nella quale si sono cimentati grandi artisti e talenti internazionali del calibro di Pablo Picasso, Georges Braque, Henri Matisse, Robert Rauschenberg, Kurt Schwitters, Max Ernst, Mimmo Rotella, Man Ray, Juan Gris, John Heartfield, ed altri ancora. Questi mostri sacri amarono sperimentare tale nuovo linguaggio artistico con “azioni” ed idee che tuttora rappresentano una basilare innovazione nel panorama artistico moderno e contemporaneo. Tutto questo mi affascina fino all’inverosimile! Per me tale tecnica risulta tuttora valida e mai sorpassata, per cui mi cimento nuovamente in essa con un nuovo linguaggio sperimentale assai diverso da quello del periodo 1995 – 2007, periodo nel quale produssi bozzetti, schizzi, disegni e – soprattutto – collage. Avevo poi ripreso tale tecnica nel 2018 con una sola opera, per poi continuare a dedicarmi quasi esclusivamente alla scrittura, alla critica d’arte ed alla presentazione di mostre, vernissage, collettive, eventi, recensioni artistiche, e via discorrendo. Ritengo, infine, il collage affascinante ed emozionante, non solo perché con esso posso esprimere al meglio e liberamente le mie emozioni, pulsioni, talento artistico e creatività, ma anche perché, per l’appunto, amo creare “valore” (artistico ed economico) con una tecnica così innovativa ed inconfondibile. Il mio, tuttavia, è un collage analogico, non digitale, perché mi affascina il recupero di materiali che so scovare a casa mia ed un po’ ovunque, come sapevo ben fare anche negli Anni Novanta, ma qui il linguaggio si è evoluto in qualcosa di nuovo. T.L.: Infine, come docente di Arte e Immagine, quali sono i principi fondamentali che cerca di trasmettere ai suoi studenti? E.D.S.: Ai miei studenti adolescenti cerco di trasmettere l’amore per il bello superiore, l’armonia, la voglia di volare alto, la capacità di emozionarsi ed emozionarci davanti alle opere d’arte e d’architettura, davanti alle viste panoramiche mozzafiato, ma anche il desiderio di studiare ed approfondire ogni aspetto dell’arte con entusiasmo per poter decodificare successivamente ogni forma d’arte. Devono imparare a rispettare l’ambiente, i beni culturali, a studiare il linguaggio artistico ed architettonico, a decodificarlo per poi apprezzarlo e magari riprodurlo… Ogni mio studente deve comprendere che, per avere fortuna e successo nella vita, dovrà lavorare sodo e con impegno a partire dagli studi scolastici, con passione, raziocinio, costanza, abnegazione, rispettando le regole; quelle stesse che dovrà sempre tenere presenti quando creerà o osserverà un’opera d’arte per poi apprezzarne i contenuti, il significato, rispettandola e rispettando la memoria di chi l’ha concepita a suo tempo, contribuendo a preservarne la memoria ma anche lo stato di conservazione. I miei studenti devono comprendere il valore ed i messaggi di ogni opera, benché minore, per trasmettere il sapere alle generazioni che verranno, ai propri figli. Solo insegnando loro con ardore e fantasia, entusiasticamente, magari con l’apporto della musica e della L.I.M. (lavagna interattiva multimediale), posso trasmettere efficacemente i valori dell’arte in tutte le sue molteplici forme, dell’architettura e persino dell’urbanistica, del rispetto della storia umana e dei luoghi e del genius loci: questa mia azione incessante servirà ad evitare futuri scempi, anzi, al contrario, favorirà le azioni di rispetto verso monumenti, manufatti ed opere d’arte da parte delle future generazioni; quelle che verranno dopo la loro.
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